vivamerlin vive

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martedì 31 gennaio 2012

DIARIO. CONSOLAZIONI.

Venerdì, 18 Settembre 2009

Il mio nome è IO SONO”
                  Stavo rimpiangendo il passato
                  e temendo il futuro.
                  Improvvisamente il mio Signore parlò:

                  “Il mio nome è IO SONO”.
                   Dio fece una pausa.
                   Attesi. Dio continuò:

                   Quando vivi nel passato
       Con i tuoi errori e rimpianti,
       è duro. Io non sono lì.
       Il mio nome non è IO ERO
         
       Quando vivi nel futuro
       Con i suoi problemi e timori
       è duro. Io non sono lì.
       Il mio nome non è IO SARÒ.

       Quando vivi in questo momento
       Non è duro. Io sono qui.
       Il mio nome è IO SONO.
       (Anonimo)

Ho trovato questi versi, che danno un sollievo immediato, in
GIANCARLO PADULA
2003 La magia è una trappola. Come combatterla.
Greco e Greco ed., Milano, pp.102-103.

Il titolo di questo diario (CONSOLAZIONI) prende ispirazione dal libro intitolato proprio CONSOLAZIONE DELLA FILOSOFIA di Boezio.
Boezio, ingiustamente accusato, è in carcere aspettando la morte. Di fatto verrà giustiziato. Proprio in quest’attesa egli scrive questo libro anche storicamente importante. Visto il titolo, credo che sia consolatorio anche per chi lo legge. E cosi mi è parso, solo leggendo qualche passo. Di fatto, non posso dire d’averlo ancora letto, ma tenterò di farlo, anche se la filosofia solitamente non è “il mio pane”, come si dice. (Con qualche eccezione, per esempio l’ETICA, di Spinoza).
Mentre infatti avevo in mano questo libro, di dimensioni relativamente ridotte (potrei pensare che non superi le duecento pagine, ero concentrata sulla lettura de “LA CITTÀ DI DIO” di Agostino d’Ippona.Ho cominciato, ma sono fortunata. È proprio li che ci sono vari paragrafi dedicati al suicidio alle ragioni per le quali non ci si deve suicidare.
Anni fa il pensiero del suicidio era una costante della mia vita. Soprattutto il terzo anno consecutivo in cui Junk il diavolo mi spingeva con tutte le sue forze a suicidarmi. Il dolore che Junk mi provocava soprattutto al cuore, e le difficoltà che per via del continuo vampirizzarmi e pungermi in forma di ago (e penso che quelle punture favorissero una vampirizzazione più ampia accurata e dolorosa), darmi incubi che erano minacce e farmi stare tutta la notte senza chiudere occhio erano una condizione fisica insostenibile. Con tutto ciò dovevo andare a lavorare ogni giorno, guardando l’ora prima di sedermi chiedendomi quante ore mancavano al potermene tornare a casa per dormire … Evidentemente il mio lavoro ne risentiva. Tutto lo sforzo che ero in grado di fare, ormai, era fingere di lavorare, e perfino  la finzione era dolorosa. Dovevo perfino parlare in pubblico ma non ero più io. La memoria mi tradiva. Anche quando ordinariamente il tutto avrebbe dovuto essere una “passeggiata” il diavolo era li a tormentare me e influire sugli altri e mettermi in difficoltà. Prima e durante. Era cominciato una volta in cui la manager di un college americano mi telefonò chiedendomi se potevo parlare agli studenti appena arrivati su un certo argomento di mia competenza. Aveva saputo che il mio inglese mi permetteva di farlo nella loro lingua. Io non ne ero cosi sicura, ma lei sentendomi parlare al telefono mi disse che era proprio quel che ci voleva. Andai e feci questa specie di conferenza. I ragazzi, studenti di livello Universitario, allo stile americano, alla fine mi applaudirono. Si erano divertiti, anche. Proprio uscendo sentii le parole del diavolo che mi complimentavano: “Brava, sei stata proprio brava!”
Io avevo da poco scoperto che Junk non era quel santone ingombrante che era, ma un vero demonio. Mi rivoltai dicendogli (mentalmente) “i tuoi complimenti non m’interessano!” Da allora anche parlare in un seminario era penoso. Una volta perfino, nell’entrare in classe, tutto il contenuto della mia borsa cadde per terra.  Anche quando ciò che dicevo sapevo che era buono, io non avevo energie. Una volta sapevo cavarmela brillantemente anche quando le mie conoscenze non erano complete  (per esempio in qualche esame universitario). A volte, come ogni studente, sapevo sfruttare al massimo quello che sapevo e prendevo comunque un buon voto. Ma ora anche quando io ero preparatissima, dentro ero vuota. È difficile, non importa che  cosa si dice, appassionare una platea quando si è privi di energia.
Quando organizzavo un seminario, per paura di non farcela cercavo molte altre persone, che facessero quasi tutto il lavoro. ero semplicemente l’ombra di me stessa. I tormenti che mi dava Junk sul lavoro in realtà datavano anni indietro, ma dopo che io scopersi la verità su di lui arrivavano a cercare proprio la mia demolizione fisica.
Ci furono poi situazioni in cui mise zizzania tra me e colleghi di lavoro amiche e parenti.
Junk mi suggeriva di uccidermi. Mi rendevo conto che me lo suggeriva lui stesso, dentro di me. La sua stessa presenza dentro, contro cui non riuscivo a fare nulla, e che mi veniva imposta (la possessione è uno stupro dell’anima, pensavo ) aggiungendo il suggerimento a motivi di disperazione di varia natura.
Io pregavo sentitamente Dio di farmi morire, ma non volevo essere io a togliermi la vita. Inoltre, una volta, cosi parlando a me stessa, dissi: “non voglio uccidermi, non voglio addolorare i miei parenti di X ”. X è il piccolo paese dove ho passato l’infanzia, un luogo dove mi sentivo protetta sicura, amata, circondata da tanti parenti rispettosi amorevoli e divertenti. Infatti pensavo che se ne avessero avuto notizia del mo suicidio ne avrebbero provato dispiacere. Proprio tempo dopo, lo stesso anno –ho controllato la data sulla sua tomba di recente -, un parente di X., un uomo buono sensibile, che in passate circostanze della sua vita aveva mostrato di avere coraggio, senza problemi economici o di lavoro, giovane sano e di bell’aspetto, si suicidò. Io venni poi a sapere che la sua famiglia –la moglie e i figli - aveva ultimamente cominciato a maltrattarlo in modo pesante e inspiegabile. Lui era il fratello prediletto della mia migliore ed eterna amica. Era il fratello favorito per il suo buon carattere, sensibile e allegro allo stesso tempo. Il sospetto che Junk lo avesse fatto suicidare come punizione per non essermi uccisa io mi arrovellò. Junk non negò di averlo fatto anche se non disse nulla in contrario. Questo avvenimento e altri mi facevano sentire come fossi io la causa. Il diavolo mi suggeriva: “Se tu ti fossi suicidata, tutto questo sarebbe successo, non succederebbe. Vedi ora come i tuoi parenti a X soffrono di più di quel che soffrirebbero sapendo che tu, che hanno conosciuto solo tanto tempo fa, ti suicidassi”.
In pratica ho passato mesi, anni con pensieri di suicidio che mi accompagnavano sempre.
Che cosa mi fece resistere? Che cosa poteva consolarmi, in quella condizione di disperazione?
A non suicidarmi mi aiutò la lettura del Gospel of Sri Ramakrisna. (Gospel significa Vangelo ) Un suo allievo, proprio quello che scrisse il libro in cui si narra la vita di Ramakrisna, aveva una moglie che pensava al suicidio. Suo figlio piccolo era morto e lei pensava di uccidersi. Il marito la portava dal Santo, e lui in più di un’occasione cercò di dissuaderla dal farlo. Le diceva che gli spiriti di chi muore di morte violenta non si elevano a un livello superiore, ma restano sul piano terreno. Questa osservazione fu utile a trattenere anche me dal suicidio. Infatti la vita mi era cosi odiosa che addirittura viverci anche dopo morta era impensabile.
Credo comunque che questo lungo libro (circa 700 pagine scritte in piccolo) mi abbia confortato anche perché le vicende narrate, gli episodi erano buffi e, anche quando non ne capivo l’eventuale significato profondo, mi divertivano.
A parte questa lettura a carattere religioso, pregavo. Riscoprivo la preghiera, che peraltro in passato era sempre rimasta a livello superficiale. Da ragazzina, seguendo il consiglio di un’insegnante che era anche suora (Suor Liliana), ogni sera prima di dormire leggevo dei passi del Vangelo.
Fu cosi che l’anno passò, anche nella paura di ammalarmi gravissimamente, visto che mi sentivo parecchio male.
Un altro fatto di consolazione fu l’essere incappata in una cosa, un gesto delle mani, anzi, che alleviava i fortissimi dolori al cuore. In quell’anno ci fu un giorno in cui non riuscivo neppure ad alzarmi dal letto per lavorare.
Poiché non sapevo cosa fare per tirarmi su, per andare a lavorare, mi ricordai di una posizione delle mani che mi era stata insegnata durante un seminario di un insegnante di medicina tradizionale cinese. (un insegnante sia sul campo medico che spirituale). La posa che io ho chiamato liberamente in questo blog “posa delle mani a doppie corna” poiché le mani sono nella posizione a corna, come quando si usa per fare gli scongiuri, sono l’una contro l’altra (al modo in cui sono quando abbiamo le “mani giunte”) e sono poste all’altezza del cuore. Restando coricata (e il mio stato fisico mi impediva di mettermi seduta a gambe in croce, che era la posizione proposta dall’insegnante) appoggiai i polsi sul cuore, le mani a corna parallele al corpo (come facciamo con le mani giunte) e lasciavo che i gomiti poggiassero sul letto, rilassata. Le dita erano rivolte verso l’alto, e i polsi appoggiavano comodamente sul corpo, all’altezza del cuore. In poco tempo successe qualcosa. Mi sentii liberata e sentivo energie che arrivavano al cuore. il diavolo era uscito da li e mi chiedeva: “Ma che hai fatto?” Mantenendo la posizione per circa venti minuti, ero in grado di alzarmi.
Questa fu una gioia per me, poiché scoprivo qualcosa di pratico che mi alleviava.
Poiché l’idea ricorrente (allora come ora) e diffusa è che non si può fare nulla, a parte pregare, per alleviare gli attacchi demoniaci, e le mie preghiere mi permettevano di avere più forza di sopportazione, ma soffrivo orribilmente, non c’è da stupirsi che ne fossi felice. E pensavo: “Se una cosa pratica è capace di alleviare i dolori, di combatterli, allora devono esistere altre cose, altri mezzi utili!”
Aggiungo che trovare un compenso nella ricerca fu molto importante per la mia sopravvivenza. Io amo la ricerca, amo cercare.
Qualche anno prima di incontrare il diavolo ci fu un tempo in cui io scrivevo piccole canzonette, mi venivano spontaneamente, al mattino. Mi mettevo a passeggiare e veniva fuori una nuova. Questo fu uno degli effetti del seguire un seminario di alcuni giorni con una psicanalista “arancionata”.
Un giorno la canzone era il mio EPITAFFIO. Non è bella, va bene, infatti non l’ho mai cantata in giro, comunque diceva cosi:

Essendo liquida come l’acqua
Andava dappertutto in cerca di qualcosa
Ed un mondo di ricerca fu la sua vita.

Per me dunque capire che potevo procedere a cercare altre cose, che la ricerca di rimedi o contromisure o qualunque cosa per fare fronte alla mia condizione mi dava speranza.
La speranza è l’ultima a morire. Comunque il diavolo quell’anno si ammalò gravemente. Subito, senza saperlo, io mi sentii meglio, molto meglio.
Nel frattempo avevo cominciato a trovare degli altri elementi utili, a partire dall’uso del ventilatore. Cosi la ricerca poteva riempire la mia vita e impegnare i miei risparmi. Non lasciavo nulla d’intentato per trovare delle difese, per informarmi.. e la ricerca continua anche oggi qui, dopo decenni.
Intendo dire che nello sfacelo della mia vita lavorativa, nell’isolamento che io stessa sceglievo per evitare pericoli a coloro che mi circondavano, io trovavo nella ricerca rifugio e un nuovo significato alla mia vita. Sarebbe stato questo a non rendere la mia vita inutile.
         
Ma ora torno alla lettura della prima parte de LA CITTÀ DI DIO di Sant’Agostino.

Certo mi ha dato serenità. Non solo quando parla di suicidio e del perché i cristiani non dovrebbero farlo. La prima parte che cerca di dare un senso positivo al sacco di Roma sono confortanti per me. Infatti anche io mi sono chiesta perché proprio a me doveva capitare di essere tormentata dal diavolo. E Agostino trova le ragioni della caduta di un’intera città, di Roma in particolare, che era anche il simbolo della cristianità.
Trovare una ragione alle proprie disgrazie è confortante. Già a suo tempo avevo pensato che Dio mi ha punita per il mio incombente orgoglio. Il senso di superiorità sugli altri che per qualche attimo ho provato nel sentirmi padrona di me stessa. Non più schiava delle emozioni che, secondo quanto disse Madame Lannes, la saggia, si prostituiscono/attaccano a tutto e qualunque cosa. La meditazione abbastanza intensa mi aveva fatto superare il precedente caos emotivo.Potevo essere preda di un’emozione quando qualcosa all’infuori di me la suscitava, un’associazione mentale. Paure che avevo sviluppato da piccola - per esempio se vedevo una persona sofferente fuggivo via spaventata .. -erano superati. Solo per effetto di sei mesi di meditazione, di silenzio, ero in grado di diventare calma, quando ne avevo la necessità. E una volta dopo tre intensi giorni di meditazione ecco che faccio una esperienza interiore che credo si dica “illuminazione”. Forse solo una briciola, ma capisco come tutti dicano che una volta li, tutto quello che vuoi è tornarci.
Il mio insegnante spirituale, per merito delle cui indicazioni –oltre che di un sincero sforzo da parte mia - ero arrivata li, era contento del mio sforzo. Mi disse un giorno che in pochi anni di lavoro interiore sarei stata in grado di essere un' insegnante spirituale.  Era certo la cosa che mi pareva socialmente più utile. Fu allora che il diavolo Junk -che a differenza della mia guida spirituale fiaccava gli sforzi dei suoi allievi dichiarando apertamente che erano degli incapaci - sentì parlare bene di me e di altri bravi allievi del nostro gruppo e fu la fine. Le mie energie furono polverizzate. Junk fece in modo, usando i suoi poteri, di mettere in cattiva luce ed eliminare dalla scuola il mio insegnante spirituale, del cui gruppo - di cui io facevo parte - era invidioso. (Anni dopo, quando arrivammo alla "resa dei conti", il diavolo mi disse che R. -quell'insegnante- "non meritava quel gruppo" ).
La mia strada fu dunque interrotta dal diavolo. E dopo l’interruzione e la presa di coscienza della causa di quell'interruzione -cioè l'azione del diavolo- mi dicevo che forse Dio aveva fatto questo per il meglio, cosi che io non diventassi una montata, orgogliosa dei suoi progressi, tanto che non avrei potuto essere una buona guida.
Anche ora penso cosi, che è stato un bene farmi abbassare le penne. Ho di sicuro imparato la modestia.


Anche, a volte, penso che incontrare il diavolo è stato il mio destino, già prefissato da Dio, che mi ha creato proprio “sputata/adatta” per poterlo affrontare. Infatti sono stata io a smascherarlo per bene, quando dopo dieci anni, dopo aver accumulato una conoscenza molto grande dei fatti, ho visto coi miei occhi le opere di questo diavolo. Mi sono detta che i miei difetti, su cui i miei nonni cercavano di aprirmi gli occhi, cioè in primo luogo la “creduloneria” e l’eccessiva fiducia negli altri, erano stati in realtà l’aspetto di me che aveva tratto in inganno il diavolo. (Anche il mio primo fidanzato mi disse una volta: “credi a tutto quello che ti dicono”. Fu Junk a dirmi che ero la donna più stupida che conosceva. Ma ero stata io che, proprio perché stupida – non si accorgevano però che io a volte mostravo stupidità perché gli altri preferivano sentirsi più intelligenti -, lo aveva fatto credere al riparo. Perfino altre caratteristiche, il mio essere un’immigrata di prima generazione, lo aveva illuso. Io non ero circondata da parenti e amici che fossero qui per proteggermi, eventualmente. Anche il fatto che io fossi “di sinistra” credo che lo abbia fatto ingannare. Per il diavolo la sinistra è “cosi intelligente da essere stupida”. La gente di sinistra per esempio non crede nella magia, non crede nel diavolo. Non è neanche cattiva. Dunque io ero doppiamente stupida, nella mia apparente intelligenza.
Se io non avessi avuto quelle caratteristiche negative non avrei potuto incastrare il diavolo, avrebbe usato le precauzioni che usava con gli altri.
Dicono in India che tutti siamo necessari: lo stupido come l’intelligente. Se non ci fosse lo stupido, neppure ci sarebbe l’intelligente.
         
Post scriptum.
Il persecutore mi perseguita il giorno intero,
Di notte non mi lascia respirare un istante.
Si sciolgono i miei nervi stirati qua e là,
Mi si sciolgono, mi si staccano le membra.
dal Libro di Giobbe, cit. in Riwkah Scharf,  La figura di Satana nel Vecchio testamento (in CARL G. JUNG La simbolica dello spirito
1959 Einaudi, nota 346, a pag. 326).

postato da: vivamerlin alle ore 13:55 | Permalink | commenti
categoria:diario, consolazioni, agostino dippona, boezio, la città di dio, il mio nome è io sono, consolazione della filosofia

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